Rischi e disagi psicosociali in azienda: il ruolo della “persona di fiducia”

Intervista di BOSS conoscenza applicata, con Andreana Bernasconi Lolli (ABL), Leila Dressi (LD) ed Elena Tremante (ET).

Qual è, in termini generali, il ruolo della “persona di fiducia” cui il lavoratore può rivolgersi

ABL - La professione emergente di “persona di fiducia” si sviluppa a partire dall’obbligo fatto nel 2012 a tutte le organizzazioni in Svizzera, di prendere delle misure appropriate per trattare i rischi psico-sociali in azienda. Il Consiglio Federale ne fa menzione, per la prima volta, in un messaggio datato 1994, poco prima dell’entrata in vigore della Legge federale sulla parità dei sessi (LPar; 1996). Il ruolo poggia sulla parola “fiducia”, sia per il lavoratore, sia per l’organizzazione cui appartiene. La persona di fiducia esterna non ha alcun legame con l’organizzazione, così da evitare conflitti d’interesse e garantire la massima confidenzialità. Essa è tenuta all’obbligo del segreto professionale. La persona di fiducia ha il compito di ascoltare e offrire sostegno nell’identificare il problema; di aiutare a circoscrivere la problematica; di spiegare e mostrare le possibili misure da intraprendere e le singole conseguenze; di indicare tutti i possibili supporti e/o consulenze complementari. Tengo a sottolineare che la persona di fiducia non svolge indagini e non prende iniziative senza il consenso della persona interessata. Interviene anche nel creare il ponte di collegamento tra il collaboratore e il datore di lavoro, moderando eventuali incontri volti a risolvere la situazione. La persona di fiducia svolge anche compiti legati alla prevenzione, come ad esempio l’accompagnamento dell’organizzazione nella creazione della carta dei principi, le procedure, la formazione dei quadri e dei collaboratori, l’assistenza ai quadri. Nella definizione delle misure da mettere in atto, l’organizzazione può decidere di optare per un apparato interno (persona di fiducia interna) oppure esterno (persona di fiducia esterna), oppure misto (persona di fiducia interna e persona di fiducia esterna).

Quali sono per l’azienda i vantaggi dell’avere una “figura esterna” ad essa?

LD - Direi che i principali vantaggi riguardano l’aspetto della neutralità, dell’equidistanza dall’organizzazione e l’indipendenza. La persona di fiducia esterna è vissuta dal management aziendale come un “ponte di collegamento”. La consulenza offerta permette all’organizzazione di disporre di una persona di riferimento, formata e competente, in grado di affiancare rapidamente il mandante nell’affrontare la complessità.

Cosa accade praticamente quando si manifesta il “conflitto” ed il collaboratore ricorre a voi?

ABL - Partiamo dal presupposto che la persona di fiducia esterna abbia definito con l’organizzazione gli aspetti relativi alla gestione del mandato e che l’organizzazione abbia informato in modo adeguato il proprio personale. Nel momento in cui siamo contattate da un collaboratore ci poniamo in ascolto della problematica, definendo anche come vederci (incontro diretto e di persona oppure a distanza, a seconda del luogo dell’organizzazione). Sulla base di quanto viene detto, attraverso l’ascolto attivo e l’utilizzo delle domande, riflettiamo con il collaboratore sulla situazione, condividendo anche cosa sia possibile eventualmente trasferire al datore di lavoro. Se necessario, proponiamo anche una mediazione per gestire e risolvere il conflitto, o altre misure. Ovviamente, dall’ascolto attivo riusciamo a comprendere anche se si tratti o meno di una situazione conflittuale. Forniano in tal senso una consulenza. Quello che posso affermare è che spesso chi si rivolge a noi ha necessità di confrontarsi, di essere ascoltato. Assistiamo a situazioni in cui la persona arriva con un atteggiamento vittimistico, per poi riprendere le redini, divenire “attore” e protagonista della propria situazione, orientato alla soluzione. L’azione inizia con il contatto con la persona di fiducia.

L’azienda accetta di solito le vostre conclusioni ed il vostro feedback?

ET - Proprio perché neutrali ed equidistanti il nostro apporto è accolto in termini costruttivi. Tuttavia, è utile rammentare che il contatto può avvenire in due modalità.

1. Il collaboratore ci contatta, disponendo delle nostre credenziali, a seguito della comunicazione interna fatta dall’organizzazione in merito alla presenza di questo servizio. Ne consegue che il datore di lavoro non è al corrente del contatto. Le informazioni sono trattate con la massima discrezione. Se durante il colloquio dovessero emergere dei temi da condividere con il datore di lavoro, il collaboratore ci deve autorizzare a procedere.

2. Il datore di lavoro ci indirizza la persona. Il colloquio avviene sempre in un contesto di confidenzialità e, anche in questo caso, i temi da condividere con il datore di lavoro devono essere autorizzati dal collaboratore.

In riferimento alla prima situazione, il feedback viene definito nell’ambito del mandato che viene attribuito alla persona di fiducia esterna e consiste nella redazione di un rapporto annuale nel quale si fa menzione dei temi emersi. Nel documento non figura alcun riferimento a persone. Al datore di lavoro vengono indicati degli assi di sviluppo per migliorare la situazione enunciata nel rapporto. Nella seconda situazione, il feedback è dato al termine del mandato e sulla base di quanto convenuto con il collaboratore. Vengono raccomandate delle misure per giungere alla soluzione della situazione.

Come si interagisce con l’organizzazione, ed in particolare col settore HR dell’impresa?

ABL - L’interlocutore, con il quale la persona di fiducia interagisce, non è necessariamente il responsabile HR. Vista la delicatezza del tema, è determinante il fatto che vi sia un “commitment” forte a livello di dirigenza e che venga definita una persona di contatto con la quale potersi relazionare. L’ambito HR ha una sua importanza, poiché ha anche il compito di presidiare tutto quel che attiene allo stato di salute dei propri collaboratori da un punto di vista fisico e psichico. Ne consegue che è responsabile anche della giusta definizione delle misure che aiutino la persona di fiducia ad assolvere al meglio al proprio compito (ad esempio preoccuparsi dell’informazione a tutti i collaboratori). L’interazione con l’organizzazione è certamente importante e determinate, in quanto permette una presa in carico completa, la definizione del perimetro entro il quale potersi muovere. In particolare, deve essere chiarito, in partenza, l’aspetto della confidenzialità rispetto a quanto emerge nei colloqui con i collaboratori dell’organizzazione e cosa sia possibile ritornare come informazioni. Sulla base di questo presupposto, la collaborazione si sviluppa in un contesto chiaro, trasparente e lineare.

Ritenete che la legislazione attualmente in vigore sia sufficiente nell’assicurare questi aspetti?

ABL - L’apparato legislativo è ampio e copre tutte le necessità. Per definire le misure concrete da adottare per proteggere la salute psico-sociale dei collaboratori, è necessario non solo consultare le leggi, ma anche le differenti raccomandazioni riferite agli standard di protezione (ad esempio il commentario SECO, Indicazioni concernenti la legge sul lavoro e le sue ordinanze). Ritengo, tuttavia, che sia buona cosa che le organizzazioni riflettano, qualora non lo avessero ancora fatto, di dotarsi di un regolamento interno in merito all’integrità della persona. Diviene pure determinante elaborare una dichiarazione di principio, ove l’organizzazione metta nero su bianco la propria posizione e la propria intenzione.

Come è regolato “contrattualmente” il rapporto-mandato fra l’azienda e la “persona di fiducia” esterna?

ET - Si procede, solitamente, alla definizione di un mandato di consulenza, attraverso il quale vengono dettagliati tutti gli aspetti inerenti alla consulenza e i campi d’azione. Nel mandato figura pure l’aspetto della confidenzialità e del feedback, di cui si è detto prima.

Oggigiorno si parla spesso di whistleblowing. È in concorrenza con la persona di fiducia?

ET - Assolutamente no! Whistleblowing è la segnalazione all’esterno da parte di un dipendente, ad autorità od organi di stampa, di illeciti o situazioni critiche dell’azienda. La nostra missione è del tutto diversa e la persona di fiducia ha un importante e delicato ruolo di ascolto ed una funzione di mediazione che il fenomeno whistleblowing non conosce.

In che posizione viene a trovarsi la “figura esterna” quando il caso, dopo gli approfondimenti, travalica il rapporto dipendente-azienda ed esige indagini esterne o addirittura ricorso ad altre istanze, come quelle giudiziarie?

ABL - In questi casi “limite” la persona di fiducia esterna ha il compito di informare dapprima la persona che ha chiesto sostegno sui passi da intraprendere. Ad esempio, di fronte a una situazione di mobbing si spiega alla collaboratrice/collaboratore quali sono i suoi diritti e come portare avanti le proprie richieste. Raccolto il consenso da parte del nostro interlocutore principale, che rimane sempre la persona che si rivolge a noi per esprimere il proprio disagio, si procede informando dapprima i vertici dell’organizzazione che sono idealmente i nostri diretti interlocutori. Se il disagio espresso dalla nostra interlocutrice/interlocutore richiede l’intervento di figure specifiche, come avvocati, psicologi o altro, il nostro compito è indirizzarlo verso tali figure professionali.

Come si può garantire la riservatezza ed al contempo fornire feedback al management aziendale al fine di migliorare responsabilizzazione ed organizzazione?

ET - È vero che coloro che si rivolgono alla persona di fiducia sono spesso i collaboratori e le collaboratrici, o come pure i quadri di un’organizzazione; ciononostante la persona di fiducia esterna ha il dovere di fornire al management aziendale una fotografia della situazione attraverso la stesura di un rapporto annuale con informazioni anonime. Si tratta dunque di riportare una statistica sulle casistiche senza entrare nei contenuti specifici. Quindi la persona di fiducia sarà in grado di riferire ai vertici aziendali quali sono i margini di manovra che l’organizzazione possiede per ottimizzare le condizioni di lavoro. Laddove sorgono difficoltà e problematiche più gravose, come la molestia o la discriminazione, la persona di fiducia si muove solo con il consenso del proprio interlocutore/della propria interlocutrice con l’obiettivo di aprire un dialogo costruttivo tra le parti. La persona di fiducia esterna ha il vantaggio di essere imparziale, e pertanto si muove libera da ogni qualsivoglia conflitto d’interesse. Ciò permette di agire sempre nell’interesse delle parti coinvolte (collaboratore e organizzazione) e con l’obiettivo di evitare che le situazioni si inaspriscano. La prevenzione e la sensibilizzazione rispetto a temi delicati, come il mobbing, le molestie, ma anche i conflitti interpersonali, restano gli obiettivi principali.

Quali sono le casistiche più frequenti in cui ha luogo il vostro intervento?

LD - Alcuni esempi sono la mancanza di rispetto, mancanza di ascolto e dialogo, toni e contenuti di comunicazione poco adeguati (ad esempio sessisti), abusi di potere, forme di discriminazione. Siamo oggi confrontati con un cambio di paradigma: la società, e le nuove generazioni in particolare, non accettano più forme di discriminazione verbale che una volta venivano tollerate. Ci si trova velocemente confrontati con divergenze generazionali. Le aziende sono oggi confrontate con un cambiamento culturale che principalmente passa attraverso la comunicazione e le relazioni interpersonali. Uno stile di comunicazione (sessista, denigrante, discriminante) che una volta veniva tollerato, oggi non trova più spazio. Ci troviamo in una fase di transizione dove due sistemi di valori si incontrano e spesso scontrano, sfociando, se tutto va bene, in malintesi ed incomprensione, fino a conflitti e non da ultimo azioni legali.

Il percorso definito dalle fasi di ascolto, informazione, consiglio, sostegno (ed eventuale intervento di altro tipo), quanto è standardizzato oppure adattato alle condizioni del collaboratore / della collaboratrice che ricorre a voi, o dell’azienda?

ET - Come lei indica, il nostro intervento è caratterizzato da un processo strutturato: in caso di bisogno la collaboratrice/il collaboratore ci contatta e chiaramente la prima fase è caratterizzata dall’ascolto attivo ed attento. Attraverso domande mirate è possibile identificare il bisogno della persona che si rivolge a noi e quindi definire il tipo di intervento necessario. A volte il semplice fatto di poter deporre i propri dubbi e le proprie preoccupazioni fa sì che la situazione si risolva. Nelle situazioni più delicate ci adoperiamo per adattare l’intervento ai bisogni ed alle richieste del nostro interlocutore. Pertanto al fine di svolgere al meglio il nostro lavoro ci appoggiamo a check-list e strumenti come il coaching o la mediazione che sono da un lato processi standardizzati ma, allo stesso tempo, permettono di agire in maniera personalizzata ed individuale sul piano dei contenuti. Il nostro compito principale è quello di creare un ambiente di fiducia e ascolto e per fare ciò non è possibile agire unicamente sul piano procedurale, occorre accogliere l’altro nella sua unicità.

Si può notare attraverso il tempo un’evoluzione delle situazioni di disagio/ conflitto nelle realtà aziendali ticinesi?

LD - Quello che notiamo è una sensibilità crescente per questi temi e dunque anche una maggior apertura e disponibilità a parlarne. Forse ciò è anche legato ad una maggior consapevolezza che la prestazione e il successo dell’azienda dipendono in larga misura dal capitale umano che quotidianamente lavora ed agisce al loro interno. Gli studi dimostrano che un’elevata connessione emozionale con l’azienda promuove un comportamento proattivo presso le collaboratrici ed i collaboratori, che si manifesta in maggior motivazione, soddisfazione e fidelizzazione. Se le persone si sentono al sicuro, e per sicurezza intendiamo qui non la sicurezza fisica ma piuttosto quella emotiva e psichica, saranno più propensi a esprimere la propria opinione ma anche i propri dubbi ed errori evitando in questo modo alle aziende di subire cali di performance. Promuovere il dialogo formale ed informale tra collaboratrici/collaboratori ed il management attraverso scambi di best practice, di criticità ed esperienze, agevola la comprensione reciproca e il passaggio di informazioni importanti a tutti i livelli gerarchici.

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